L’etica di Kant

L’etica per Kant, essendo che deve valere per tutti gli uomini, deve fondarsi sulla razionalità, ne consegue che però questa non garantirà la realizzazione dell’idea platonica di Sommo Bene, ma creerà solo le condizioni per renderla possibile. Dice infatti il filosofo:

“La morale non è propriamente la dottrina che ci insegna come possiamo renderci felici, ma come dobbiamo renderci degni della felicità. Solo in un secondo tempo, quando si aggiunge la religione, interviene anche la speranza di partecipare un giorno alla felicità, nella misura in cui avremo procurato di non esserne degni. […] Ne consegue che non si deve trattare mai la morale in sé come dottrina della felicità, cioè come un’indicazione e un modo per diventar felici, perché essa si occupa soltanto della condizione razionale della felicità, non dei mezzi per ottenerla.”

Immanuel Kant, Kritik der praktischen vernunft
  • L’agire etico

L’agire etico deve essere guidato per Kant da un principio universale che sia valido per tutti, esso infatti pone a fondamento della sua morale l’imperativo categorico che impone l’osservanza del dovere per il dovere, e non il dovere per una ricompensa ultraterrena con un imperativo ipotetico. Colloca quindi alla base quella formula che prescrive:

“Agisci in modo che la massima della tua azione possa valere come norma per una legislazione universale.”

Immanuel Kant, Grundlegung zur Metaphysik der Sitten
  • I tratti cristiani dell’etica di Kant

Il principio sopra menzionato recupera insieme alla mancata concessione tra virtù e felicità in modo evidente l’etica dell’intenzione cristiana custodita nell’interiorità della coscienza, questo perché l’etica kantiana tende a far salvare solo la purezza dell’intenzionalità. Il perseguimento del Sommo Bene infatti si offre come un’idea regolativa e non costitutiva, l’uomo può prendere il suo comportamento solo come se contribuisse alla moralizzazione del mondo, ma non c’è vincolo di causalità. Oltre questo, per Kant il rispetto per la legge morale di cui lui parla “si riferisce sempre a persone, mai a cose.”, le quali “possono suscitare in noi inclinazioni, perfino amore, o anche paura,[…]”, ma purtroppo solo

“Tutti gli esseri razionali si trovano sotto la legge secondo cui ciascuno di loro deve trattare se stesso, e tutti gli altri, mai come un semplice mezzo, ma sempre anche al tempo stesso come un fine in sé.”

Immanuel Kant, Fondazione della metafisica dei costumi

In questo modo esso va solamente ad accettare anche la visione antropocentrica giudaico-cristiana di uomo al vertice del creato.

L’etica in epoca cristiana

Per il pensiero cristiano, diversamente da quello greco, l’uomo è regolato interiormente dalla sua intenzionalità della coscienza, essendo che “Nell’uomo interiore abita Cristo” (Agostino di Ippona, In Iohannis Evangelium Tractatus) e non più dalla natura, divenuta ormai creatura di Dio data in mano all’uomo per essere conquistata. Come ci ricorda Agostino, infatti:

Non andare fuori di te, ritorna in te stesso. La verità dimora nell’uomo interiore. E se scoprirai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso.

Agostino di Ippona, La vera religione
  • L’agire etico

Limitando la sfera etica alla correttezza della coscienza interiore, le proprie azioni, se hanno conseguenze terribili, ciò non è moralmente accusabile all’individuo se non ne aveva intenzione, esattamente come accadde poi il giorno che venne crocifisso Gesù e che da lui sono stati perdonati gli uomini “perché non sanno quello che fanno” (Luca, Vangelo). Come ci ricorda Galimberti, tra l’altro: “Su questa etica è costruito l’intero ordine giuridico europeo che distingue, ad esempio, tra un delitto intenzionale, non intenzionale o preterintenzionale.” (Umberto Galimberti, L’etica del viandante).

  • La separazione dell’etica dalla politica

Data questa concezione, l’individuo cristiano non è più pensato nel complesso della vita sociale, deve vivere separato nel mondo e poi dal mondo, così facendo la politica è depotenziata da luogo dove avviene la realizzazione del bene, per i greci, a luogo di limitazione del male per rendere più semplice la via per accedere alla città celeste, destinazione alla quale si può accedere solo con l’amore di Dio, il quale si manifesta per l’appunto nell’interiorità. La realizzazione umana non è quindi più nella vita politica, ma è rinviata alla vita ultraterrena. Come dice Agostino infatti “l’ordine delle cose e del tempo sfugge agli uomini ed è noto solo a Dio che lo regge e lo controlla come signore e padrone” (Agostino di Ippona, De civitate Dei).

  • La separazione dell’individuo dalla società

    Come rovescio al riconoscimento di un’uguaglianza solo nella vita ultraterrena, c’è una rassegnazione alla disuguaglianza nella vita terrena, la realizzazione del bene non è quindi di questo mondo e l’individuo, così facendo, viene consequenzialmente separato dalla società, luogo a cui si può prendere parte, ma non della propria autorealizzazione. Dice sempre Agostino:

    “[…]certamente si può dire che la vera giustizia è in quella città della quale la Sacra Scrittura proclama: Di te si dicono cose stupende, città di Dio.”

    Agostino di Ippona, De civitate Dei

    L’etica in epoca greca

    Nella concezione greca il punto di rimando continuo a cui ci si deve adeguare sempre è la natura (physis), sfondo immutabile regolato dalle leggi della Necessità (Anánke):

    Questo cosmo, lo stesso per tutti, che non fu creato da nessun dio né da nessun uomo, ma è sempre stato, è e sarà fuoco eternamente vivo, che si accende e si spegne secondo misura

    Eraclito, I presocratici, Testimonianze e frammenti
    • L’agire etico

    Di conseguenza anche l’uomo ha un limite imposto dalla natura che lo misura, ponendolo quindi al posto di ogni essere vivente parte di essa, ovvero quello del mortale. Detto ciò l’etica, cioè studio dell’agire dell’uomo in vista di fini, essendo in questa concezione ciò che ha a che fare con il comportamento umano che cambia a seconda delle circostanze a causa dell’imprevedibilità del futuro, non si appella a regole codificate e trasmissibili, non si pone quindi come “scienza (epistéme)”, ma come “saggezza (phrónesis) capace di distinguere, di volta in volta, il bene dal male, per Aristotele:

    “[…]come avviene nell’arte della medicina e della navigazione

    Aristotele, Etica a Nicomaco
    • La politica come natura dell’uomo

    Parlando di etica, non ci è possibile lasciare fuori dal discorso la politica, la “scienza che conosce ciò che è meglio”, quella che Platone definiva “tecnica regia (basilikè téchne)”, perché “è capace di far trionfare ciò che è giusto attraverso il coordinamento e il governo di tutte le tecniche che presiedono le attività che si svolgono nella città” (Platone, Politico). Essa ha il suo fondamento sulla natura umana, la quale è portata alla formazione di una pólis, da intendere come insieme di persone che hanno la stessa costituzione (politeía), data l’incapacità di queste di essere sufficienti a se stesse. A questo punto, nella concezione greca possiamo affermare che l’uomo sia portato naturalmente alla politica, ed è considerabile quindi “animale politico (politikòn zôon)”, come affermava Aristotele.

    • L’intima connessione tra etica e politica

    Secondo questa visione, l’uomo scopre e sviluppa la sua identità, quindi arriva alla piena realizzazione di se stesso (la sua natura), il suo fine, solo attraverso il confronto e la partecipazione alla vita comune. La politica diventa quindi etica pratica e cura della città, che non si limita all’organizzazione della vita pratica, ma anche a condurre la vita individuale verso la virtù e la giustizia, che poi sono quelle della città. Centrale per l’esercizio della politica è poi la piazza della città (agorà), ove si riunivano i cittadini per formare quelle decisioni che si sarebbero basate su criteri razionali. In questo senso nel pensiero greco la politica è come pratica etica collettiva, perché si tratta di operare per il bene della città, e quindi per il bene di ogni cittadino.